C’era una volta Chicago… riflessioni (a freddo) dal convegno internazionale Graphic Medicine

A quasi due mesi dal rientro, caratterizzato da una sana dose di jet-lag, è tempo di mettere nero su bianco alcune considerazioni che sono emerse dall’esperienza di Chicago.
I più attenti, o bersagliati, del web si ricorderanno che dal 14 al 17 luglio il collettivo Graphic Medicine Italia è volato presso la University of Chicago (culto, peraltro, delle Medical Humanities) per seguire la conferenza internazionale della Graphic Medicine (GM); tema del convegno, (Re)conneting. Tralasciando i magnifici scorci architettonici di Lloyd Wright e le pantagrueliche specialità culinarie (dovete provare la deep dish), la Windy City ha offerto al collettivo italiano numerosi spunti di riflessione sulle direzioni culturali della GM e sulle sue transizioni artistiche che meritano di essere icasticamente affrontate in un breve articolo.

È forse il caso di esordire riportando al lettore che cosa si è raccontato oltreoceano. In altri termini, qual è l’approccio anglofono all’utilizzo dei fumetti per raccontare il complesso mondo della medicina e della salute? La tematica riguarda una molteplicità di oggetti, a partire dalle varie iniziative sorte in alcuni spazi istituzionali (esposizioni in musei e biblioteche sulla storia a fumetti della medicina) e più informali (come il progetto Drawing Together #39: Gathering). Non possiamo poi ignorare il tanto metaforicamente declinato coronavirus che è stato protagonista, sia nella gestione sia nei contenuti, della conferenza stessa. La plenaria di apertura ha infatti istituito una vera e propria Call for Action per tutti i fumettisti che in prima linea hanno combattuto il Covid impugnando la matita e a suon di pennellate. In questo stato di impreparazione pandemica si è cercato di delineare un nuovo senso di comunità e di identità artistica del collettivo proponendo, attraverso workshop giornalieri, di immergersi nei retroscena del virus su più livelli: esperienze sensoriali con i colori, riflessione sul concetto di morte, nuove modalità espressive imposte dalle mascherine.

Dopo questa premessa, ci preme affrontare quali temi sono stati principalmente oggetto di discussione, riportando nel concreto alcuni esempi editoriali della vocazione artistica che ha riunito diverse figure da tutto il mondo. Parlando di patografie, la prospettiva di partenza è tendenzialmente autobiografica, costruendo la relazione con il lettore attraverso l’onestà del racconto quotidiano di un protagonista spesso professionista sanitario, talvolta caregiver o, in altri casi, paziente. Che sia la storia di un padre con un figlio autistico o di una ragazza a cui è stato diagnosticato un disturbo bipolare, le storie si ibridano con le esigenze di pubblicare un prodotto fruibile ed esteticamente accattivante. Durante il convegno sono stati (ri)proposti temi ben noti e per certi aspetti consolidati all’interno dell’ambiente socio-sanitario (cancro, Alzheimer, malattie mentali) e temi relativi al caring e all’organizzazione assistenziale in senso ampio. Ancora faticano ad affermarsi condizioni meno note e forse per questo più difficili da mettere in scena. Certamente una felice eccezione è data dalla patografia che è risultata vincitrice del premio annuale assegnato da un board di esperti internazionali: “Parenthesis”, di Élodie Durand.

Avanziamo allora un’ultima riflessione, di certo la più impegnativa: che cosa possiamo imparare dall’“esperienza Chicago”? Sappiamo che il fumetto in Italia è un campo di espressione fervido e movimentato che unisce quote sperimentali di altissimo livello a magistrali effetti comunicativi. Sul piano della riflessione medico-sanitaria, e più in generale di quello che possiamo offrire come collettivo, si amalgamano i temi più caldi: la formazione di giovani studenti/sse di medicina, lo stigma che ancora circonda alcune condizioni, il sistema sanitario e le sue profonde e radicalizzate discriminazioni, così come la sensibilizzazione della popolazione ad alcune tematiche poche note (si pensi, ad esempio, al tema della donazione del corpo). A queste ci sentiamo di aggiungere altre questioni: Il fatto che le patografie sul mercato siano spesso la riproduzione di un concetto di malattia “occidentale” o che gli autori di riferimento sia già icone note alla sensibilità comune. Se è vero che le patografie diventano dichiarati mediatori sociali e culturali, in grado di facilitare il pensiero critico e negoziare con il lettore una comprensione spedita di svariate malattie, quello di fumettista/protagonista diventa allora un mestiere con un chiaro afflato sociale, che ora avvicina ora separa aspetti emotivi alla preferenza di diversi stili e contenuti.

Quello che possiamo e dobbiamo cercare di portare avanti il più possibile è una inclusione a tutto tondo, in grado di abbracciare il ritmo narrativo, la diversità nella sceneggiatura, l’intensità delle vignette e il target di riferimento.

(Reportage di Veronica Moretti, VP Associazione Graphic Medicine Italia)