“Marbles: io, Michelangelo e il disturbo bipolare”, Ellen Forney, trad. di Micol Beltramini, Edizioni BD, 2014, 256 pagine b/n, brossura, € 18

Alla soglia dei trent’anni Ellen ha un nuovo tatuaggio sulla schiena, una carriera da cartoonist ben avviata, un nutrito gruppo di amici e una famiglia che la sostiene. Quello che ancora non sa è che ha anche un disturbo bipolare, di tipo 1. Per una che lavora nel campo dell’arte, ritrovarsi ammessa di diritto al prestigioso Club Van Gogh (“il vero artista è l’artista pazzo”) in compagnia di celebrità quali Sylvia Plath, Virginia Woolf e Michelangelo non sembra poi così male, per lo meno all’inizio. Ma vale davvero la pena di subire l’alternarsi di episodi maniacali e depressivi, con tutta la sofferenza che comportano, pur di non rinunciare alla propria creatività? O forse è possibile accettare (il che non significa arrendersi) una vita più stabile e trovare comunque il modo di non renderla noiosa?
In questo graphic memoir Forney ripercorre il decennio della sua vita che va dalla diagnosi al raggiungimento di un equilibrio più o meno stabile, raccontando con estrema sincerità e arguzia la lunga e tormentata ricerca della terapia farmacologica adatta a lei, l’altalena degli sbalzi d’umore che periodicamente la proiettano dall’euforia più totale alla disperazione più nera, le sessioni di psicoterapia, lo yoga, il lavoro, la vita sociale, il disegno come mezzo per mettere su carta le proprie emozioni e soprattutto la difficoltà a lasciar andare il consolidato – e per lei rassicurante – binomio “genio e sregolatezza” per poter finalmente arrivare a guardarsi allo specchio e dire: “Sto bene”.