Appunti dall’Irlanda: tutto sulla conferenza internazionale Graphic Medicine 2024

Appunti dall’Irlanda: tutto sulla conferenza internazionale Graphic Medicine 2024

Dal 16 al 18 luglio 2024, una folta rappresentanza del team di Graphic Medicine Italia ha preso parte al Convegno Internazionale di Graphic Medicine tenutosi ad Athlone, nella Repubblica d’Irlanda. Immersi in un paesaggio verdeggiante e circondati da un’energia creativa, abbiamo avuto l’opportunità di condividere il nostro lavoro e di confrontarci con altri professionisti del settore provenienti da tutto il mondo.

Il tema del convegno di quest’anno era “Draíocht”, termine gaelico per “magia”, che ha ispirato numerose riflessioni durante le sessioni plenarie e i tre workshop creativi che hanno preceduto l’inizio ufficiale del convegno. I workshop hanno fornito ai partecipanti all’evento un’importante occasione per approfondire l’intersezione tra arte e medicina, esplorando nuovi modi di comunicare temi complessi in ambito sanitario attraverso la creatività.

La comunità europea è stata particolarmente presente, testimoniando l’importanza internazionale che la graphic medicine sta assumendo non solo negli Stati Uniti e in Canada, ma anche nel nostro continente. Durante le “tre giorni” del convegno sono stati assegnati i premi per il miglior long comic book e il miglior short comic book, riconoscendo i contributi più rilevanti nel campo rispettivamente a Nervosa di Hayley Gold e Spiral Sessions di Elaine M. Will.

Le plenarie di Nick Sousanis, professore di Humanities e Liberal Studies alla San Francisco State University e di Zara Slattery, fumettista e illustratrice inglese, insieme al group think guidato da Matthew Noe, pilastro del collettivo internazionale, sono state tra i momenti più coinvolgenti e stimolanti della conferenza. Questi interventi hanno spinto i partecipanti a riflettere sull’efficacia della narrazione grafica e su come possa offrire nuovi modi di percepire e rappresentare la realtà.

Atmosfera informale e grande convivialità hanno caratterizzato i giorni dell’evento: un approccio che ha favorito il senso di comunità tra i partecipanti, rafforzando i legami già costruiti e creando nuove connessioni.

Workshop “Graphic Medicine For Healthcare Professionals”: Veronica Moretti e Stefano Ratti, rispettivamente Vicepresidente e Presidente di Graphic Medicine Italia, insieme con Ian Williams, fondatore del collettivo internazionale e autore delle strip “The Bad Doctor” (al centro)


Qui sopra, da sinistra, Alice Scavarda e Martina Follador di Graphic Medicine Italia in due momenti delle rispettive presentation nel corso del Convegno Internazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Graphic Medicine Italia ha avuto il piacere di presentare il lavoro di Alice Scavarda, che indaga il potenziale del fumetto come strumento (auto)riflessivo per i futuri infermieri, per svelare discorsi e pratiche abiliste; il fumetto di Martina Follador Manuale di sopravvivenza per celiaci, che vuole far riflettere e sensibilizzare sul tema della celiachia, strappando un sorriso sia ai celiaci sia ai non-celiaci; e il graphic novel di Veronica Moretti e Stefano Ratti Pancreas, che racconta le esperienze di pazienti affetti da malattie del pancreas. Questi lavori hanno suscitato un grande interesse, sottolineando ancora una volta la poliedricità del fumetto in ambito sanitario, come strumento didattico, di ricerca e di disseminazione di informazioni.

In chiusura, uno sguardo sul futuro: è stato annunciato che il prossimo convegno di Graphic Medicine si terrà nel 2026 nella città statunitense di Baltimora, dopo un “anno sabbatico” che, purtroppo, si rende necessario per ampliare ulteriormente il respiro internazionale dell’evento.

Il convegno di Athlone ha confermato l’importanza della graphic medicine come strumento per affrontare temi complessi e delicati quali malattia cronica, lutto perinatale, disabilità – per citarne solo alcuni – in ambito sanitario. Ci ha ispirato a continuare la nostra attività di ricerca sul e con il fumetto e a portare avanti il dialogo tra arte e scienza anche in Italia, arricchiti da nuove idee e da una forte spinta a rafforzare la nostra comunità.

“Anna e Marco”: un nuovo fumetto in download gratuito per i pazienti oncologici

“Anna e Marco”: un nuovo fumetto in download gratuito per i pazienti oncologici

Un’altra “prima assoluta” per Graphicmedicineitalia.org: la sezione “risorse” del sito si arricchisce di un fumetto inedito patrocinato dalla nostra Associazione. Ambientato presso l’Azienda Policlinico “Paolo Giaccone di Palermo”, Anna e Marco racconta la storia assolutamente verosimile che ruota attorno a paure e aspettative di una paziente e un caregiver durante la difficile esperienza della diagnosi e del trattamento di una patologia neoplastica.
Il progetto non si limita a rappresentare la cura fisica, ma mira a sottolineare
l’importanza del benessere emotivo e psicologico dei pazienti, attraverso un percorso di cura multidisciplinare che coinvolge oncologi, radiologi, medici nucleari, odontoiatri, esperti in Medicina Orale e altro personale sanitario.
L’auspicio delle autrici Monica Bazzano, Psicoterapeuta, PhDst Università degli Studi di Palermo e Giuseppina Campisi, Professore Ordinario di Malattie Odontostomatologiche UNIPA (Soggetto), Maria Rosaria Valerio (Supervisione clinica) e Sofia Sanfilippo (disegni e grafica) è che la storia possa illuminare il complesso intreccio di ansie e speranze che caratterizza la vita di un paziente oncologico, confermando l’impegno di tutti i professionisti sanitari a collaborare per il benessere globale dei pazienti, onorando, di fatto, le loro storie e vissuti.

Per leggere il fumetto, basta inquadrare il codice VR in alto a sinistra o cliccare qui.

Dal 2 Agosto, in libreria una nuova opera Becco Giallo/Graphic Medicine Italia

Dal 2 Agosto, in libreria una nuova opera Becco Giallo/Graphic Medicine Italia

Certo, non è romantico come il cuore, né intrigante come il cervello. Persino i polmoni sono più citati. Eppure, il pancreas è la centrale chimica del corpo e gran parte della nostra salute dipende proprio dal suo corretto funzionamento. Già il suo nome – “pan” tutto e “krèas” carne – ne anticipa la fondamentale importanza all’interno del nostro organismo, spesso non corrisposta a livello mediatico dove viene dimenticato a favore di altri organi. Questo fumetto nato da Veronica Moretti e Stefano Ratti con una collaborazione con Alessandro Cucchetti, Carlo Fabbri, Matteo Farinella, Francesco Rossi, Paola Zanghì ed Ernesto Anderle è un progetto interedisciplinare e innovativo. La salute, sia dell’organo che delle persone, è il focus di questo libro, basato su interviste a pazienti: a fianco della prospettiva biomedica, ciascuna storia riflette la rottura biografica causata dalla malattia e l’impatto sul mondo sociale della persona coinvolta. Grazie alla supervisione di un comitato scientifico, le pagine illustrate raccontano le normali funzioni del pancreas e le principali patologie pancreatiche. Primo volume della collana Graphic anatomy: L’anatomia umana incontra la potenza del fumetto per raccontare storie vere di pazienti, attraverso le competenze interdisciplinari della medicina, della sociologia e dell’arte. Graphic Anatomy è una dissezione anatomica a fumetti di un organo e delle storie di pazienti a esso correlate, con l’obiettivo di comprendere meglio le complessità dei corpi e delle narrazioni. In collaborazione con Graphic Medicine Italia, Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas, Associazione Italiana di Chirurgia Epatobiliopancreatica, Associazione Pierluigi Natalucci.

24/06: Workshop Interattivo a Bologna

24/06: Workshop Interattivo a Bologna

Il 24 giugno dalle 9 alle 13, Graphic Medicine Italia vi invita a partecipare a un evento dedicato all’esplorazione dei fumetti come strumenti di narrazione e divulgazione, a partire dal graphic novel Il Primo Paziente.
Questo workshop è frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia, il Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie e l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Si tratta di una opportunità unica di approfondimento per accademic* e appassionatosi* nella Nona Arte.

DOVE

Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Università di Bologna
Via Irnerio 48, Bologna
COME
Analisi dettagliata di successi nel fumetto divulgativo.
Discussione su modelli narrativi innovativi partendo da “Il Paziente”.
Tavoli di lavoro pratici per la creazione e la sperimentazione diretta.
TARGET
Il workshop è destinato al personale universitario, sia strutturato che non strutturato.
Posti Limitati!
Disponibili solamente 30 posti. Vi consigliamo di prenotare la vostra partecipazione al più presto.
Per registrarsi, basta cliccare qui

La prima volta non si scorda mai: la prima Assemblea GMI 2024

La prima volta non si scorda mai: la prima Assemblea GMI 2024

Il 14 maggio 2024 si è svolta la prima assemblea on line di soci e simpatizzanti di Graphic Medicine Italia (GMI). Siamo davvero contenti della grande partecipazione registrata e dell’entusiasmo con cui persone dall’Italia e non solo si sono proposte all’associazione con idee e progetti nuovi e stimolanti.
Abbiamo ripercorso assieme i passi fondamentali di GMI, dalla sua fondazione nel 2022, alla creazione del sito web e all’iscrizione come Associazione di Promozione Sociale (APS), fino al Registro Nazionale Unico del Terzo Settore (RUNTS) nel 2023 che ci ha permesso di avere nuovi soci oltre al supporto per le nostre attività. Infatti, grazie alle quote associative, alle donazioni liberali e al «5 x 1000», ora GMI può iniziare ad essere sempre più attiva sul territorio italiano con collaborazioni internazionali e progettualità fortemente innovative e inclusive.
Abbiamo raccontato i progetti realizzati, la Rete che si sta sviluppando con associazioni ed enti e ascoltato tutte le idee dei nuovi soci con la convinzione che GMI possa espandersi e divenire un punto di riferimento per tutte quelle persone che pensano che l’arte del fumetto possa creare una sinergia utile e positiva con la medicina e il mondo della salute per la comunità tutta.
È emerso ancora di più il carattere interdisciplinare e inclusivo di GMI, che si unisce all’importanza della validazione scientifica e delle ricadute sociali delle attività promosse dall’Associazione.
Nella speranza di continuare a crescere grazie al contributo di tutti, a presto per nuove avventure e un ringraziamento per la passione e il sostegno mostrati finora.

“La storia del topo cattivo”: intervista a Bryan Talbot

“La storia del topo cattivo”: intervista a Bryan Talbot

La storia del topo cattivo, ora in edizione del trentennale per i tipi di Tunué, risale agli Anni 90. Il periodo d’oro per eccellenza del fumetto “mainstream”, con le grandi saghe super-eroistiche e la “bolla” dei milioni di copie vendute per testate come X-Men. Inaudito, per l’epoca, proporre al pubblico una storia dedicata agli abusi sui minori. Come ti è venuta l’idea inizialmente?

Sì, graphic novel oltre i generi come Maus di Spiegelman sono una proposta editoriale relativamente recente… ma con la loro uscita hanno dimostrato proprio in quel periodo che i fumetti potevano essere un ottimo veicolo per storie di ogni genere. All’inizio, pensavo di scrivere una storia sul Lake District inglese, tutt’altro tema rispetto agli abusi sui minori. Ma un giorno, passeggiando nella stazione della metro di Tottenham Court Road, a Londra, notai un’adolescente che elemosinava su un binario. Con suo grande fastidio, un grosso tizio barbuto membro di qualche setta evangelica stava cercando di convincerla a seguirlo in un ostello o da qualche altra parte. Sembrava così imbarazzata… Ripensando a lei qualche ora più tardi, mi venne in mente quello che si diceva su Beatrix Potter, che a quento pare all’età di 16 anni era “di una timidezza straziante”. In quel periodo, a partire dai suoi legami con quei luoghi, stavo facendo ricerche sulla Potter per il mio progetto sul Lake District. Cosi ho fatto due più due, quella alla stazione è diventata la prima scena del libro e da lì è nata tutta la storia. Mi sono detto “E se questa ragazza avesse una connessione con Beatrix Potter e seguisse le orme di Potter fino al Lake District?”. Mentre ci ragionavo, ho sentito la necessità di spiegare perché fosse scappata di casa. Così ho pensato “Perché suo padre abusava di lei”. Molti ragazzi scappano a londra da ogni angolo dell’Inghilterra per sfuggire agli abusi. Dato che non sapevo nulla sull’argomento, ho iniziato a documentarmi in libreria e in biblioteca, rendendomi conto ben presto che il tema degli abusi era troppo importante per essere “solo” uno spunto narrativo pet spingere la protagonista a scappare di casa. Doveva essere il tema portante del libro.

È stato difficile, a suo tempo, trovare un editore interessato al progetto?

È stata una vera impresa. Avevo inviato il proposal con il concept e qualche illustrazione di prova a tutti i principali editori di libri illustrati del Regno Unito, nella speranza di raggiungere un pubblico mainstream al di là del “ghetto” dei comic books. Era un fascicolo molto curato, stampato in 20 copie rilegate con tanto di copertina in acetato sopra la stampa della cover provvisoria e una lettera di accompagnamento: ma questo, ben prima del boom dei romanzi grafici e del fumetto in generale. La metà degli interessati non si sono nemmeno degnati di darmi una risposta. Quelli che lo fecero, rifiutarono la proposta senza neanche esaminarla, probabilmente piantando lì tutto alla prima comparsa della parola “fumetto” nella lettera di accompagnamento… A quel punto decisi di rivolgermi agli editori specializzati. La DC Comics rifiutò, ma il progetto aveva intrigato altre case editrici, in particolare Tundra. Nel febbraio del 1992, mi recai alla convention sui fumetti all’Alexandra Palace di Londra deciso a trovare un editore. In quel periodo stavo ancora disegnando Mask, la storia di Batman che avevo scritto per Archie Goodwin e la collana Legends of the Dark Knight. Finita quella, avrei dato la precedenza al “Topo cattivo”. Arrivo alla convention e mi presento allo stand Tundra, una cosa enorme. Ma lì mi prende lo sgomento, non solo per il gran numero di albi in catalogo, ma anche per la scarsa qualità media: pochi grandi titoli in un mare di robaccia. L’impressione è che pubblicassero qualunque cosa gli capitasse a tiro. Non volevo veder finire La storia del topo cattivo in un contesto tanto mediocre, così ho rinunciato all’incontro con Tundra, tentando la fortuna con Mike Richardson di Dark Horse, col risultato di godermi le ore di anticamera che la sua fitta agenda richiedeva. A suo merito, ha accettato il progetto sui due piedi, un bell’atto di coraggio da parte sua, dato che non assomigliava ad altro che Dark Horse avesse mai pubblicato.

Citavi Mask, il one-shot di Legends Of The Dark Knight in cui Batman è l’alter ego di un Bruce Wayne alcolizzato in preda al delirio. La storia di un topo volante cattivo, per così dire… cosa ricordi di quell’esperienza?

Mask è basato su un’idea avuta da adolescente, negli Anni ’60. Me n’ero ricordato una bella mattina del 1992. Per coincidenza, in quel periodo mi sono ritrovato a cena con lo sceneggiatore Archie Goodwin, fresco di nomina come editor della testata Legends of the Dark Knight. Gli raccontai la storia a grandi linee, e lui mi invitò a fargli avere una proposta. Ma ero convinto che non se ne sarebbe fatto niente, e li per lì me ne dimenticai completamente… Almeno fino a 6 mesi dopo, quando, rivedendolo, mi sentii chiedere “Che fine ha fatto quell’idea per Batman?”. Non solo non scherzava, ma pensava fosse un ottimo spunto. La settimana successiva mi misi al lavoro, e il resto è filato tutto liscio.
Una cosa che ho scoperto negli anni trascorsi a scrivere storie è che ogni lettore le vive a modo suo. Tanti lettori di La storia del topo cattivo mi hanno confidato di aver vissuto la lettura come un sostegno emotivo rispetto agli abusi subiti in gioventù. Con Batman è lo stesso: per alcuni si tratta di una semplice storia di super-eroi, per altri potrebbe avere un effetto terapeutico.

L’impressione è che nelle tue opere le fantasticherie siano un tema ricorrente. Da Luther Arkwright, a 2000 A.D., fino a Grandville, le visioni di mondi lontani sembrano essere la tua cifra stilistica: il che è buffo, considerando il tono serio di La storia del topo cattivo.

In realtà, ho scritto e disegnato altri due romanzi grafici non di genere: Alice in Sunderland e Metronome, più le cinque che ho disegnato su testi di mia moglie Mary, a cominciare da Dotter of Her Father’s Eyes, pubblicata in Italia da Nicola Pesce Edizioni (graphic novel che tratta il tema della malattia mentale della figlia di James Joyce Lucia, degente di un manicomio per trent’anni, ndr). Ma nel caso del “Topo”, le fantasticherie di Helen servono per fornire ai lettori un indizio sul potere della sua immaginazione che, come suggerisce l’omaggio a Beatrix Potter sul finale, la porterà a diventare in prima persona una scrittrice e un’artista.

Mentre ti documentavi per La storia del topo cattivo ti è capitato di incontrare persone che hanno vissuto le stesse esperienze della protagonista Helen? Cos’hai scoperto facendo ricerche sull’argomento?

Non appena la notizia che stavo lavorando sul tema è diventata di dominio pubblico, mi ha davvero stupito il numero di persone che mi hanno contattato per parlarmi degli abusi che avevano subito: si va da amici che conoscevo da anni a persone che ho incontrato alle convention… Erano tutti entusiasti che pubblicassi il libro, perché all’epoca l’argomento era quasi tabù e molti ex ragazzini vittime di abusi pensavano di essere gli unici ad aver vissuto queste drammatiche esperienze, quindi erano restii a condividerle per paura di non essere presi sul serio. Resta il fatto che è importante parlare di questi temi e far sì che la gente ne parli, in modo da rompere la cultura omertosa tipica di queste esperienze.

Cosa ti ha spinto a utilizzare personaggi reali come reference per La storia del topo cattivo?

Quando ho realizzato che quella che avevo tra le mani era una storia per un pubblico mainstream, lo stile del fumetto si è evoluto in una chiave molto più realistica rispetto a tutta la mia produzione precedente. Per facilitare la lettura a chi non ha l’occhio allenato ai fumetti, ho scelto deliberatamente la linea chiara. Poi ho cominciato a raccogliere reference fotografiche utilizzando amici e conoscenti come modelli e ambientando la maggior parte degli eventi in luoghi reali. Quando lavori su storie fantascientifiche o fantastiche, le licenze poetiche sono d’obbligo, ma nel caso di La storia del topo cattivo puntavo al massimo realismo.

Qual è il tuo metodo di lavoro? Dato che sei un artista “lento”,  immagino che tu sia molto attento nello storyboard. Oppure parti dalla sceneggiatura?

Normalmente, impiego circa tre giorni per scrivere, disegnare e colorare una tavola. Parto sempre dalla sceneggiatura, visualizzando il tutto a mente senza passare da uno storyboard. Negli ultimi 15 anni, ho capito di poter saltare quello step passando direttamente al disegno.

Lo humour ha un ruolo molto importante nelle tue storie, anche una storia dai contorni drammatici come il “Topo” ha delle parti più leggere, per esempio quelle ispirate a Beatrix Potter…

Tutte le storie hanno bisogno di luci e ombre. Senza un costante contrappunto tra scene e dialoghi, si finisce per annoiare il lettore, che si tratti di un’avventura, una commedia o un racconto “ambizioso”. La monotonia stufa. Di mio, mi considero uno sceneggiatore abbastanza intuitivo: se c’è spazio per un po’ di humour, anche in una situazione drammatica, ce lo metto.

Pensi mai di tornare da Helen per un seguito di La storia del topo cattivo?

Circa 4 anni fa, avevo iniziato ad accarezzare l’idea di un sequel ambientato vent’anni dopo la fine dell’originale, con Helen diventata una scrittrice per bambini trentaseienne che fa amicizia con una giovane senzatetto. Ci ho lavorato fino ad accumulare una cartella di appunti sul tema, prima di rendermi conto che forse era meglio lasciar stare. Ho il timore che un sequel potrebbe guastare l’effetto dell’originale, soprattutto per il rischio di mostrare che la vita di Helen dopo La storia del topo cattivo non è tutta rose e fiori. Un abuso implica postumi psicologici che possono durare tutta la vita, e il seguito potrebbe dimostrarlo.

Parlaci dei tuoi prossimi progetti…

Sono a metà delle 177 tavole di un prequel di Grandville ambientato 23 anni prima e interpretato dal mentore dell’ispettore LeBrock, Stamford Hawksmoor, apparso nel quinto volume. Data l’ambientazione antecedente alla rivoluzione industriale e quindi allo steampunk della serie originale, sarà un’opera molto diversa. Non sarà ambientata in una Belle Époque alternativa, precederà l’Art Nouveau e avrà il sapore acquerellato e seppiato dei vecchi dagherrotipi, invece dei vistosi colori digitali di Grandville. Quindi, sì: un volume molto vittoriano, ambientato a Londra, tra carrozze e nebbia densa quanto zuppa di piselli, molto Sherlock Holmes.

Intervista a cura di Andrea Voglino – novembre 2023

Un Natale a tutta Graphic Medicine

Un Natale a tutta Graphic Medicine

Due nuove sezioni sul nostro sito: “Diventa socio” e “Sostienici”. Dopo due anni di servizio, Graphic Medicine Italia apre a forze fresche con il proposito di allargare le sue attività, ampliare il proprio raggio d’azione e “mettere a terra” nuove iniziative che vadano oltre la Rete e l’ambito strettamente accademico.

Perché associarsi lo spieghiamo qui.  Ma anche senza associarsi è possibile sostenere l’Associazione con una donazione anche minima: con una cifra simbolica, si può contribuire a migliorare il sito e favorire la crescita di Graphic Medicine Italia. Due ottime idee anche per un “pensiero di Natale” alternativo all’insegna della cultura, della voglia di fare e della consapevolezza.

Calvin & Hobbes © Universal Press Syndicate 2023

Atcom Sant’Orsola: il valore di un dono

Atcom Sant’Orsola: il valore di un dono

Per questo Natale 2023 il dono del Centro Riferimento Trapianti dell’Emilia-Romagna è una fiaba delicata e profonda.
Un racconto illustrato da Giorgio Serra, La matitaccia, in collaborazione con Atcom S. Orsola, con la storia di Luca Passignani, per sensibilizzare sul tema di #donazione e #trapianto e raccontare, anche ai più piccoli, il mistero della malattia e il valore di un dono inestimabile: il cuore.
Leggi o ascolta la favola e condividila per i tuoi auguri a questo link.
Grazie agli autori e all’Associazione Nazionale Trapiantati di Cuore “Tetto Amico” che ha promosso la realizzazione di questo progetto. Un ringraziamento anche a Barbara e alla figlia Francesca che hanno espresso il bisogno di raccontare questa storia.
#moltiplicalavita con #unasceltaconsapevole”

Memorie dal Nord America: la cronaca della conferenza internazionale Graphic Medicine

Memorie dal Nord America: la cronaca della conferenza internazionale Graphic Medicine

Con affidabile puntualità, si è conclusa anche questo anno la conferenza internazionale organizzata dal Collettivo internazionale Graphic Medicine, dal titolo “Encounter and Inviation”. Dopo aver occupato i magnifici edifici nella ventosa Chicago (2022), quest’anno è toccata alla vibrante Toronto ospitare artist*, accademic*, professionist* (in più di un caso, combinando i tre ruoli in un’unica figura) che moss* dalla passione, ormai nota, per i fumetti nel racconto sanitario hanno riempito il campus della University of Toronto con le loro storie. Lo sguardo europeo si è particolarmente posato sulla decisione, per certi aspetti inedita, di ospitare keynote in grado di sensibilizzare il pubblico rispetto alla condizione di salute esperita nelle comunità native. Per fare solo alcuni nomi: Justice Seidel, Greg Spence, Rachel Corston, Mena Gewarges. Si è dunque deciso di prestare attenzione all’utilizzo della Graphic Medicine in contesti certamente meno mainstream. La conferenza è stata gestita ibridamente, tra un garantito off line e un sempre imprevedibile on line.

Un’altra novità che la conferenza del 2023 ha portato riguarda il premio annuale GMIC Awards. Quest’anno, e per la prima volta, il Collettivo Internazionale ha deciso di creare due categorie distinte: Long form e Short form.

Nella prima, vincitore di quest’anno, è Ronan and the Endless Sea of Stars. Lo sceneggiatore Rick Louis, ben coadiuvato dalla vignettista di testate quali The Wall Street Journal e The Washington Post Lara Antal, condivide la storia breve e struggente di suo figlio, Ronan, nato con la Tay-Sachs, una malattia neurologica genetica e mortale. La storia ripercorre la nascita del piccolo, la diagnosi, le tappe fondamentali raggiunte, l’impatto sul matrimonio di Louis e l’inevitabile morte di Ronan. Il graphic non risparmia il dolore di un padre alternando anche momenti di sagace ironia.

Il Collettivo durante un momento della Conference

Inoltre, i giudici hanno ritenuto che le candidature fossero così valide e il processo decisionale così impegnativo da richiedere il riconoscimento di una menzione d’onore per ogni categoria. Sempre nella categoria Long form menzioniamo: Headland, la storia romanzata di Ruth, affetta da demenza, e basata sulla nonna dell’autrice Kate Schneider.

Chi invece ha vinto nella categoria Short form è Vaccinated at the Ball, il fumetto educativo che descrive l’uso delle House Balls (in cui si riuniscono persone LGBTQ+ ispaniche, afroamericane etc.) come luogo per le vaccinazioni COVID-19. Il giornalista Josh Neufeld usa la forma del fumetto per raccontare la storia vera di uno sforzo compiuto a Chicago l’anno scorso per aumentare i tassi di vaccinazione verso alcune comunità spesso discriminate.

La novità più succosa, almeno per noi europei, alla fine: nel 2024, il Collettivo internazionale Graphic Medicine farà tappa nel Vecchio Continente, nello specifico in Irlanda. Ancora non si conosce il tema della conferenza, ma certamente ci aspettiamo una partecipazione maggiormente nutrita da parte dei peniṡolani!

Nello scatto realizzato a Kensington Market, da sinistra a destra, l’autore Matteo Farinella, la VP di Graphic Medicine Italia Veronica Moretti, il Presidente Stefano Ratti, Brian Callender (Università di Chicago) e un sorridente Michael Green, autore del selfie di rito.

“Rughe”: intervista a Paco Roca

“Rughe”: intervista a Paco Roca

Sono trascorsi quindici anni dalla prima edizione di Rughe. Da cosa è nata la necessità della nuova “edizione definitiva” della tua opera recentemente tornata sugli scaffali?
Credo che a noi autori faccia sempre paura l’idea di chiudere definitivamente un’opera. Io continuerei a metterci mano, tornerei indietro e ritoccherei cose che non mi piacciono, vignette che penso siano venute male, storie in cui la trama non sembra mai perfetta o dove i dialoghi non sembrano essere i migliori possibili. Ma non si può fare questo continuamente, un’opera nasce e termina ma ci sono situazioni in cui c’è necessità di aggiungere qualcosa: nel caso di Rughe, l’occasione ha coinciso con la lavorazione del film, e questo ha dato il via alla possibilità di raccontare altro attraverso il fumetto, introducendo materiali sui “dietro le quinte” della pellicola nella nuova edizione. La verità è che mi piacerebbe farlo con tutti i miei lavori, non sono mai contento al cento per cento e con il tempo subentrano sempre nuove idee per renderli migliori.

Rughe è uno dei primi esempi di graphic medicine, un tipo di graphic novel che negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più. A suo tempo quella di parlare di una malattia è stata una scelta ragionata, o una semplice coincidenza?
È stato casuale, non c’era alcun piano preordinato, è partito tutto da un fatto personale. Mio padre aveva l’Alzheimer, così come il padre del mio più caro amico. All’epoca era una malattia poco raccontata sia dalla letteratura che dal cinema. La mia intenzione era affrontarla senza uno scopo didattico, senza pensare al lato strettamente medico. Certo, una volta pubblicata un’opera non si può mai sapere fino in fondo l’uso che ne farà il pubblico, e Rughe in effetti si è rivelata utile anche a livello formativo, però non l’avevo previsto a priori. Quello che in realtà mi premeva mettere in luce era la solitudine, che mi sembrava essere il minimo comune denominatore di tutti i degenti delle case di riposo, e il fatto che spesso essi siano messi ai margini perché non riescono a seguire i ritmi della società giovane e adulta.

Per realizzare Rughe sei entrato in punta di piedi in varie residenze per anziani…
Come dicevo, penso che il tema principale di Rughe sia la solitudine, e al tempo ho notato diverse cose. Non ero mai stato in una residenza per anziani, e durante il periodo in cui mi documentavo per produrre il mio libro ne ho visitate diverse, rendendomi conto che sono come dei “cassetti disordinati” dove le persone vengono inserite senza avere nulla in comune, ma ci si ritrovano per motivi diversi, e non tutti sono nella stessa condizione fisica. Per certi aspetti, è come stare in una scuola in cui i bambini non hanno nulla in comune se non l’età. C’era chi vi si trovava perché la famiglia non poteva prendersene cura, chi era lì per non essere un peso per i propri cari. Personalmente, ho provato la sensazione di essere su un’isola su cui erano approdati naufraghi approdati a caso da imbarcazioni diverse.

Qual è il ricordo giù forte che ti hanno lasciato le visite nelle case di riposo?
Visitavo le case di riposo grazie all’ospitalità di amici medici o infermieri, oppure quando amici e famigliari andavano a trovare parenti anziani. Ricordo di una donna che divideva i suoi spazi con una persona affetta da demenza, che quindi non faceva altro che piangere e urlare di continuo, e questa donna chiedeva “Ma perché devo stare qui e vivere con lei?”. Un’altra cosa che mi colpì fu che, nella maggior parte dei casi, gli anziani peggioravano: quando li vedevo in una certa occasione e poi alcuni mesi dopo, si erano aggravati. Il lavoro per un dipendente di una residenza per anziani è davvero duro, lo si fa per una sorta di vocazione.

Immaginiamo che tu abbia letto altri fumetti interessanti su temi analoghi.
Non ricordo di aver letto nulla di questo genere, ci sono state alcune storie che parlavano di persone anziane, come Lo scontro quotidiano di Manu Larcenet (Coconino Press, 2014, ndr)… però non sono state un riferimento per Rughe. Con questo libro ho cercato di rendere gli anziani protagonisti. È stato complicato fare in modo che la monotonia delle loro vite fosse interessante, che ci fosse intrattenimento nella noia generale. Mi è stato invece d’ispirazione il film giapponese Ju-on: The Grudge, in cui si parla di una soffitta posseduta: mi pareva che l’Alzheimer potesse essere trattato come una storia horror. La struttura narrativa di Rughe è quella dell’avventura di chi giunge in un luogo ostile e, con l’aiuto di qualcuno che già vi si trova, lotta per la propria salvezza.

Dove hai trovato l’ispirazione per la scena finale in cui Emilio comincia ad avere problemi nel riconoscere i volti altrui?
Non so esattamente come mi sia venuta l’idea, immagino si tratti di utilizzare gli strumenti a disposizione nel mondo del fumetto. Con il disegno è possibile astrarsi e cercare una soluzione. Nel film di Rughe il procedimento è stato un altro, ma nel fumetto mi pareva che la scena funzionasse, mi piace sfruttare le possibilità che offrono i diversi linguaggi. Ritengo che noi autori non pensiamo principalmente alla dimensione in cui vogliamo inserire la storia bensì ai personaggi e alle loro vite, e poi è il marketing a situare un fumetto in un genere o l’altro, quindi non siamo fermi nell’idea di star facendo qualcosa di determinato e preciso. È a carico dell’editore seguire una corrente o meno, io voglio raccontare una storia umana. Talvolta si usa il fumetto in modo didattico per spiegare cose complesse che il pubblico non sarebbe di norma disposto a leggere, ma poi il mezzo comunicativo in questione facilita le cose.

Come accennavi, hai preso parte anche tu alla realizzazione del film…
Sì, ho collaborato col regista Ignacio Ferreras, l’ho aiutato col copione e la direzione artistica dandogli vari consigli sul lato della documentazione. Ferreras non ha fatto un lavoro sul campo entrando nelle residenze, non ha avuto un contatto con gli anziani quindi il mio lavoro consisteva anche nello spiegare cose che non avevo potuto inserire nel fumetto, e desideravo riscattare grazie al film.

Un ringraziamento particolare ad Aurora Galbiero per la traduzione

Rughe: la nostra recensione