“Nessun altro”, R. Kikuo Johnson, trad. di Veronica La Peccerella, Coconino Press, 2022, 104 pagine a colori, copertina rigida, € 22

“Nessun altro”, R. Kikuo Johnson, trad. di Veronica La Peccerella, Coconino Press, 2022, 104 pagine a colori, copertina rigida, € 22

“Gli ho dato da mangiare, l’ho lavato e l’ho portato in bagno ogni giorno per sette anni. […] Tu sei scappato! È stata la mia vita a fermarsi”. Sono le parole con cui Charlene accusa il fratello Robbie di averla lasciata da sola a occuparsi dell’anziano padre malato mentre lui se ne andava in giro a cercare fortuna come musicista. Siamo a Maui, nelle Hawaii, ma il clima è tutt’altro che pacifico in questa famiglia. Madre single e con un lavoro da infermiera, Charlene si prende cura di tutti sia a casa sia in ospedale, senza ricevere il giusto riconoscimento e a scapito del suo benessere e delle sue aspirazioni. La tragica morte del padre, caduto dalle scale inciampando su una coperta lasciata in giro dal nipote, è il punto di rottura. La giovane si licenzia, abdica alla gestione della casa e si mette a studiare ossessivamente per il test di Medicina, dimenticandosi persino del compleanno del figlio e di avvertire gli altri familiari della morte del patriarca. A questo punto tocca a Robbie responsabilizzarsi e fare i conti con la fatica del prendersi cura, per consentire alla sorella di provare a realizzare i suoi sogni e aiutare il piccolo Brandon nella ricerca del suo gatto, scomparso il giorno della tragedia.
Johnson ci regala un romanzo grafico in cui la costruzione della pagina con una griglia molto regolare sviluppata in orizzontale, l’uso prevalente della bicromia bianco/blu con sporadici inserti in arancione e la spasmodica attenzione al dettaglio nelle scene ridotte ai particolari essenziali rendono magistralmente il dramma esistenziale quotidiano dei personaggi. Il finale a sorpresa lascia sperare in una riconciliazione.

“La storia del topo cattivo”: intervista a Bryan Talbot

“La storia del topo cattivo”: intervista a Bryan Talbot

La storia del topo cattivo, ora in edizione del trentennale per i tipi di Tunué, risale agli Anni 90. Il periodo d’oro per eccellenza del fumetto “mainstream”, con le grandi saghe super-eroistiche e la “bolla” dei milioni di copie vendute per testate come X-Men. Inaudito, per l’epoca, proporre al pubblico una storia dedicata agli abusi sui minori. Come ti è venuta l’idea inizialmente?

Sì, graphic novel oltre i generi come Maus di Spiegelman sono una proposta editoriale relativamente recente… ma con la loro uscita hanno dimostrato proprio in quel periodo che i fumetti potevano essere un ottimo veicolo per storie di ogni genere. All’inizio, pensavo di scrivere una storia sul Lake District inglese, tutt’altro tema rispetto agli abusi sui minori. Ma un giorno, passeggiando nella stazione della metro di Tottenham Court Road, a Londra, notai un’adolescente che elemosinava su un binario. Con suo grande fastidio, un grosso tizio barbuto membro di qualche setta evangelica stava cercando di convincerla a seguirlo in un ostello o da qualche altra parte. Sembrava così imbarazzata… Ripensando a lei qualche ora più tardi, mi venne in mente quello che si diceva su Beatrix Potter, che a quento pare all’età di 16 anni era “di una timidezza straziante”. In quel periodo, a partire dai suoi legami con quei luoghi, stavo facendo ricerche sulla Potter per il mio progetto sul Lake District. Cosi ho fatto due più due, quella alla stazione è diventata la prima scena del libro e da lì è nata tutta la storia. Mi sono detto “E se questa ragazza avesse una connessione con Beatrix Potter e seguisse le orme di Potter fino al Lake District?”. Mentre ci ragionavo, ho sentito la necessità di spiegare perché fosse scappata di casa. Così ho pensato “Perché suo padre abusava di lei”. Molti ragazzi scappano a londra da ogni angolo dell’Inghilterra per sfuggire agli abusi. Dato che non sapevo nulla sull’argomento, ho iniziato a documentarmi in libreria e in biblioteca, rendendomi conto ben presto che il tema degli abusi era troppo importante per essere “solo” uno spunto narrativo pet spingere la protagonista a scappare di casa. Doveva essere il tema portante del libro.

È stato difficile, a suo tempo, trovare un editore interessato al progetto?

È stata una vera impresa. Avevo inviato il proposal con il concept e qualche illustrazione di prova a tutti i principali editori di libri illustrati del Regno Unito, nella speranza di raggiungere un pubblico mainstream al di là del “ghetto” dei comic books. Era un fascicolo molto curato, stampato in 20 copie rilegate con tanto di copertina in acetato sopra la stampa della cover provvisoria e una lettera di accompagnamento: ma questo, ben prima del boom dei romanzi grafici e del fumetto in generale. La metà degli interessati non si sono nemmeno degnati di darmi una risposta. Quelli che lo fecero, rifiutarono la proposta senza neanche esaminarla, probabilmente piantando lì tutto alla prima comparsa della parola “fumetto” nella lettera di accompagnamento… A quel punto decisi di rivolgermi agli editori specializzati. La DC Comics rifiutò, ma il progetto aveva intrigato altre case editrici, in particolare Tundra. Nel febbraio del 1992, mi recai alla convention sui fumetti all’Alexandra Palace di Londra deciso a trovare un editore. In quel periodo stavo ancora disegnando Mask, la storia di Batman che avevo scritto per Archie Goodwin e la collana Legends of the Dark Knight. Finita quella, avrei dato la precedenza al “Topo cattivo”. Arrivo alla convention e mi presento allo stand Tundra, una cosa enorme. Ma lì mi prende lo sgomento, non solo per il gran numero di albi in catalogo, ma anche per la scarsa qualità media: pochi grandi titoli in un mare di robaccia. L’impressione è che pubblicassero qualunque cosa gli capitasse a tiro. Non volevo veder finire La storia del topo cattivo in un contesto tanto mediocre, così ho rinunciato all’incontro con Tundra, tentando la fortuna con Mike Richardson di Dark Horse, col risultato di godermi le ore di anticamera che la sua fitta agenda richiedeva. A suo merito, ha accettato il progetto sui due piedi, un bell’atto di coraggio da parte sua, dato che non assomigliava ad altro che Dark Horse avesse mai pubblicato.

Citavi Mask, il one-shot di Legends Of The Dark Knight in cui Batman è l’alter ego di un Bruce Wayne alcolizzato in preda al delirio. La storia di un topo volante cattivo, per così dire… cosa ricordi di quell’esperienza?

Mask è basato su un’idea avuta da adolescente, negli Anni ’60. Me n’ero ricordato una bella mattina del 1992. Per coincidenza, in quel periodo mi sono ritrovato a cena con lo sceneggiatore Archie Goodwin, fresco di nomina come editor della testata Legends of the Dark Knight. Gli raccontai la storia a grandi linee, e lui mi invitò a fargli avere una proposta. Ma ero convinto che non se ne sarebbe fatto niente, e li per lì me ne dimenticai completamente… Almeno fino a 6 mesi dopo, quando, rivedendolo, mi sentii chiedere “Che fine ha fatto quell’idea per Batman?”. Non solo non scherzava, ma pensava fosse un ottimo spunto. La settimana successiva mi misi al lavoro, e il resto è filato tutto liscio.
Una cosa che ho scoperto negli anni trascorsi a scrivere storie è che ogni lettore le vive a modo suo. Tanti lettori di La storia del topo cattivo mi hanno confidato di aver vissuto la lettura come un sostegno emotivo rispetto agli abusi subiti in gioventù. Con Batman è lo stesso: per alcuni si tratta di una semplice storia di super-eroi, per altri potrebbe avere un effetto terapeutico.

L’impressione è che nelle tue opere le fantasticherie siano un tema ricorrente. Da Luther Arkwright, a 2000 A.D., fino a Grandville, le visioni di mondi lontani sembrano essere la tua cifra stilistica: il che è buffo, considerando il tono serio di La storia del topo cattivo.

In realtà, ho scritto e disegnato altri due romanzi grafici non di genere: Alice in Sunderland e Metronome, più le cinque che ho disegnato su testi di mia moglie Mary, a cominciare da Dotter of Her Father’s Eyes, pubblicata in Italia da Nicola Pesce Edizioni (graphic novel che tratta il tema della malattia mentale della figlia di James Joyce Lucia, degente di un manicomio per trent’anni, ndr). Ma nel caso del “Topo”, le fantasticherie di Helen servono per fornire ai lettori un indizio sul potere della sua immaginazione che, come suggerisce l’omaggio a Beatrix Potter sul finale, la porterà a diventare in prima persona una scrittrice e un’artista.

Mentre ti documentavi per La storia del topo cattivo ti è capitato di incontrare persone che hanno vissuto le stesse esperienze della protagonista Helen? Cos’hai scoperto facendo ricerche sull’argomento?

Non appena la notizia che stavo lavorando sul tema è diventata di dominio pubblico, mi ha davvero stupito il numero di persone che mi hanno contattato per parlarmi degli abusi che avevano subito: si va da amici che conoscevo da anni a persone che ho incontrato alle convention… Erano tutti entusiasti che pubblicassi il libro, perché all’epoca l’argomento era quasi tabù e molti ex ragazzini vittime di abusi pensavano di essere gli unici ad aver vissuto queste drammatiche esperienze, quindi erano restii a condividerle per paura di non essere presi sul serio. Resta il fatto che è importante parlare di questi temi e far sì che la gente ne parli, in modo da rompere la cultura omertosa tipica di queste esperienze.

Cosa ti ha spinto a utilizzare personaggi reali come reference per La storia del topo cattivo?

Quando ho realizzato che quella che avevo tra le mani era una storia per un pubblico mainstream, lo stile del fumetto si è evoluto in una chiave molto più realistica rispetto a tutta la mia produzione precedente. Per facilitare la lettura a chi non ha l’occhio allenato ai fumetti, ho scelto deliberatamente la linea chiara. Poi ho cominciato a raccogliere reference fotografiche utilizzando amici e conoscenti come modelli e ambientando la maggior parte degli eventi in luoghi reali. Quando lavori su storie fantascientifiche o fantastiche, le licenze poetiche sono d’obbligo, ma nel caso di La storia del topo cattivo puntavo al massimo realismo.

Qual è il tuo metodo di lavoro? Dato che sei un artista “lento”,  immagino che tu sia molto attento nello storyboard. Oppure parti dalla sceneggiatura?

Normalmente, impiego circa tre giorni per scrivere, disegnare e colorare una tavola. Parto sempre dalla sceneggiatura, visualizzando il tutto a mente senza passare da uno storyboard. Negli ultimi 15 anni, ho capito di poter saltare quello step passando direttamente al disegno.

Lo humour ha un ruolo molto importante nelle tue storie, anche una storia dai contorni drammatici come il “Topo” ha delle parti più leggere, per esempio quelle ispirate a Beatrix Potter…

Tutte le storie hanno bisogno di luci e ombre. Senza un costante contrappunto tra scene e dialoghi, si finisce per annoiare il lettore, che si tratti di un’avventura, una commedia o un racconto “ambizioso”. La monotonia stufa. Di mio, mi considero uno sceneggiatore abbastanza intuitivo: se c’è spazio per un po’ di humour, anche in una situazione drammatica, ce lo metto.

Pensi mai di tornare da Helen per un seguito di La storia del topo cattivo?

Circa 4 anni fa, avevo iniziato ad accarezzare l’idea di un sequel ambientato vent’anni dopo la fine dell’originale, con Helen diventata una scrittrice per bambini trentaseienne che fa amicizia con una giovane senzatetto. Ci ho lavorato fino ad accumulare una cartella di appunti sul tema, prima di rendermi conto che forse era meglio lasciar stare. Ho il timore che un sequel potrebbe guastare l’effetto dell’originale, soprattutto per il rischio di mostrare che la vita di Helen dopo La storia del topo cattivo non è tutta rose e fiori. Un abuso implica postumi psicologici che possono durare tutta la vita, e il seguito potrebbe dimostrarlo.

Parlaci dei tuoi prossimi progetti…

Sono a metà delle 177 tavole di un prequel di Grandville ambientato 23 anni prima e interpretato dal mentore dell’ispettore LeBrock, Stamford Hawksmoor, apparso nel quinto volume. Data l’ambientazione antecedente alla rivoluzione industriale e quindi allo steampunk della serie originale, sarà un’opera molto diversa. Non sarà ambientata in una Belle Époque alternativa, precederà l’Art Nouveau e avrà il sapore acquerellato e seppiato dei vecchi dagherrotipi, invece dei vistosi colori digitali di Grandville. Quindi, sì: un volume molto vittoriano, ambientato a Londra, tra carrozze e nebbia densa quanto zuppa di piselli, molto Sherlock Holmes.

Intervista a cura di Andrea Voglino – novembre 2023

Un Natale a tutta Graphic Medicine

Un Natale a tutta Graphic Medicine

Due nuove sezioni sul nostro sito: “Diventa socio” e “Sostienici”. Dopo due anni di servizio, Graphic Medicine Italia apre a forze fresche con il proposito di allargare le sue attività, ampliare il proprio raggio d’azione e “mettere a terra” nuove iniziative che vadano oltre la Rete e l’ambito strettamente accademico.

Perché associarsi lo spieghiamo qui.  Ma anche senza associarsi è possibile sostenere l’Associazione con una donazione anche minima: con una cifra simbolica, si può contribuire a migliorare il sito e favorire la crescita di Graphic Medicine Italia. Due ottime idee anche per un “pensiero di Natale” alternativo all’insegna della cultura, della voglia di fare e della consapevolezza.

Calvin & Hobbes © Universal Press Syndicate 2023

Atcom Sant’Orsola: il valore di un dono

Atcom Sant’Orsola: il valore di un dono

Per questo Natale 2023 il dono del Centro Riferimento Trapianti dell’Emilia-Romagna è una fiaba delicata e profonda.
Un racconto illustrato da Giorgio Serra, La matitaccia, in collaborazione con Atcom S. Orsola, con la storia di Luca Passignani, per sensibilizzare sul tema di #donazione e #trapianto e raccontare, anche ai più piccoli, il mistero della malattia e il valore di un dono inestimabile: il cuore.
Leggi o ascolta la favola e condividila per i tuoi auguri a questo link.
Grazie agli autori e all’Associazione Nazionale Trapiantati di Cuore “Tetto Amico” che ha promosso la realizzazione di questo progetto. Un ringraziamento anche a Barbara e alla figlia Francesca che hanno espresso il bisogno di raccontare questa storia.
#moltiplicalavita con #unasceltaconsapevole”

“La storia del topo cattivo”, Bryan Talbot, Tunué, 2023, 144 pagine a colori, cartonato, € 18,90

“La storia del topo cattivo”, Bryan Talbot, Tunué, 2023, 144 pagine a colori, cartonato, € 18,90

Edizione del trentennale per uno dei primi volumi a trattare i temi dell’abuso sui minori, quel “La storia del topo cattivo” che fin dal 1992 – anno della sua uscita per Dark Horse Comics – ha raccolto premi e consensi in tutto il mondo diventando un punto di riferimento in tutta Europa nella didattica legata ai temi del child abuse. La storia, ispirata all’autore unico di Wigan, Lancashire dall’incontro fortuito con una giovane squatter in una stazione londinese, racconta la fuga della sedicenne Helen dalle attenzioni del padre Orco e suo lungo viaggio verso la rinascita dalle strade della capitale britannica a Hill Top, residenza della celeberrima scrittrice e illustratrice Beatrix Potter. Se l’abilità narrativa di Talbot regala pagine di grande suggestione attraverso i numerosi omaggi all’autrice di “La storia di Peter Coniglio” e all’uso sapiente di stilemi già collaudati sul fantasy “Le avventure di Luther Arkwright”, la meticolosa documentazione raccolta durante la pre-produzione del volume consente allo sceneggiatore e disegnatore britannico di tratteggiare in maniera precisa, onesta e mai gratuita lo stress post-traumatico infantile innescato nella protagonista dalle interazioni non sempre positive con le figure maschili che incontra nella sua odissea. Forte di un premio Eisner ricevuto nel 1996, la nuova edizione di “La storia del topo cattivo” racchiude numerosi extra: un’introduzione dell’autore di bestseller Neil Gaiman, una ricca dotazione di “dietro le quinte” a cura dello stesso Talbot e una postfazione di Jennifer Guerra, giornalista e scrittrice specializzata in tematiche di genere, femminismo e diritti LGBTQ+. Una lettura imprescindibile per il pubblico dai 13 anni in su.

“Radiation house”, serie, Tomohiro Yokomaku e Taishi Mori, J-Pop, ca. 200 pagine in b/n, brossura, € 6,50 a volume

“Radiation house”, serie, Tomohiro Yokomaku e Taishi Mori, J-Pop, ca. 200 pagine in b/n, brossura, € 6,50 a volume

Medical manga ambientato al Policlinico Amakasu, segue le storie di medici e tecnici del reparto di radiologia. La narrazione è strutturata per episodi, ciascuno con al centro un caso clinico da risolvere che di volta in volta permette di approfondire meglio la personalità di ciascuno dei componenti dell’équipe e le diverse tecniche di diagnostica per immagini, da quelle più note, come mammografia, TC e risonanza magnetica, ad ambiti meno conosciuti, come l’autopsia virtuale e la radiologia interventistica. Al centro della vicenda c’è l’evoluzione della relazione tra i due protagonisti, il brillante TSRM Iori Igarashi e la Dr.ssa An Amakasu (figlia dell’ex direttore sanitario), legati da una promessa d’infanzia. Attorno a loro ruota un complesso sistema di rapporti interpersonali e intrecci amorosi tra colleghi che si sviluppa fuori e dentro l’ospedale, ma ampio spazio viene dato alle storie di vita dei pazienti, alle loro paure (per esempio riguardo la pericolosità delle radiazioni) e speranze, e all’impatto fisico e soprattutto emotivo della malattia.
Radiation House offre una lettura leggera e piacevole che allo stesso tempo può essere d’aiuto a coloro che devono sottoporsi a indagini radiologiche. Permette infatti di familiarizzare con questi esami sia attraverso le spiegazioni fornite, sia attraverso i disegni che riproducono scrupolosamente i macchinari utilizzati e la tipologia di immagini che si ottiene con ciascuna tecnica.

“Cheese”, Zuzu, Coconino Press, 2019, 272 pagine in b/n, brossura, € 18

“Cheese”, Zuzu, Coconino Press, 2019, 272 pagine in b/n, brossura, € 18

Tre inseparabili amici di Salerno rotolano giù per la montagna di un piccolo paese del Trentino all’inseguimento di una forma di formaggio. Può sembrare un’avventura come tante se ne vivono durante l’adolescenza ma per Zuzu, Riccardo e Dario questo viaggio è molto di più. È il coronamento di un’amicizia che dà loro il coraggio di prendere in mano la propria vita e abbracciare quello che si è: la voglia di Dario partire per l’Inghilterra per frequentare l’università, la rivelazione dell’omosessualità di Riccardo, ma soprattutto l’inizio dell’accettazione di un corpo femminile a cui per mesi si è fatta la lotta.
Cheese, infatti, è anche la storia di una ragazza e del suo disturbo alimentare, in una società che impone un canone di bellezza irrealistico per la maggior parte delle persone. “Le due protagoniste sono perfette, cazzo, hanno un corpo ideale… Non so se mi spiego” dice Rocco, il ragazzo per cui Zuzu ha una cotta, commentando La vita di Adele. E da quel momento lei si vede deforme, e la deformità invade il fumetto sfociando in disegni di donne il cui il grasso si protende nell’aria come i rami di un albero, mentre altre invece sono tutte scheletro e intestino, un intestino mostruoso che prende il sopravvento e divora, oltre a grandi quantità di cibo spazzatura, la vita stessa di Zuzu. La narrazione è inframmezzata dai dialoghi interni della protagonista (“sono infelice, sono responsabile”), che cerca di avere il pieno controllo sul proprio corpo ma non fa che soccombere alla sua fisicità: al vomito che a un certo punto invade la casa e la pagina, alla pelle che le fa male dappertutto, all’intrinseca mancanza di purezza e leggerezza di un corpo che, come un frutto marcio, con il suo peso la schiaccia verso terra impedendole di volare.
Il romanzo grafico d’esordio di Giulia Spagnulo ci trasporta in un’età in cui capita di sentirsi fuori posto, tra lavoretti sottopagati, sogni che pare resteranno per sempre nel cassetto, pene d’amore e una sofferenza che può scavarci dentro; e il lieto fine non nega che in futuro ci saranno ancora delle difficoltà da affrontare, ma in quel momento Dario, Riccardo e Zuzu ricordano tanto i giovani partigiani della poesia di Calvino: “Scalzi e laceri eppure felici”.

“Mia sorella è pazza”, Iris Biasio, Rizzoli Lizard, 2022, 208 pagine a colori, brossura, € 17,50

“Mia sorella è pazza”, Iris Biasio, Rizzoli Lizard, 2022, 208 pagine a colori, brossura, € 17,50

Rita e Francesca sono due giovani sorelle. Rita è sempre stata un po’ strana ma suo marito, un talentuoso pittore, la ama anche per questo. Fino al giorno in cui scivola e batte la testa, morendo sul colpo. Nel tentativo di distrarla dalla tragedia, Francesca la porta a fare un pic-nic, durante il quale Rita si allontana nel bosco per fare pipì. Viene ritrovata mezz’ora dopo in stato confusionale. La cartella clinica del Pronto Soccorso riporta: “emorragia vaginale sospetta violenza sessuale stato shock no altre lesioni visibili”. Da quel momento, Rita non parla più, anche se sembra serena. Francesca si sobbarca la retta di un istituto psichiatrico, ma gli anni passano e non sembrano esserci progressi. Finché un giorno, durante la consueta visita, si taglia sbucciandole una mela e il sorriso che sua sorella ha mantenuto così a lungo si trasforma in un ghigno minaccioso. Cos’è successo davvero quel giorno nel bosco? Cosa sanno gli altri pazienti che Francesca e i dottori non riescono a vedere? C’è forse una spiegazione all’amenorrea di Rita? Fino a che punto può spingersi la mente umana pur di non elaborare un lutto?
Pur essendo principalmente un racconto di formazione più che un fumetto a tema medico, Mia sorella è pazza affronta in modo onesto e non banale molte tematiche nell’ambito della salute mentale. Particolarmente mirabili, e intense, sono le pagine che illustrano l’episodio di scompenso psicotico acuto di Rita, e che sveleranno al lettore il mistero celato dietro il suo sorriso.

“Sindrome Italia: storia delle nostre badanti”, Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello, BeccoGiallo, 2021, 160 pagine a colori, brossura, €19

“Sindrome Italia: storia delle nostre badanti”, Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello, BeccoGiallo, 2021, 160 pagine a colori, brossura, €19

Iasi, Romania, 2005. Valisica è una giovane donna come tante, due figli piccoli, un marito alcolista, un lavoro in fabbrica per mantenere la famiglia. Ma i soldi non bastano mai e la gente in paese racconta cose mirabolanti dell’Italia, di quanto sia facile trovare un impiego e di tutti i risparmi che si possono mettere da parte. In fondo, si tratta solo di stare via qualche anno. Così Vasilica parte: Palermo, Milano, Marilisa, Liliana… due città, quattro signore, dieci anni di vita lontana dai suoi figli. A loro ormai grandi scrive: “Lasciarvi per me è stato… ero diventata… Non lo so, ma da quel giorno ho iniziato a chiedermi: ma io a casa servo? Non sono più mamma, non sono più donna… che cosa sono? Chi sono?”. Vasilica è un anfibio, sospesa tra terra e acqua, tra Italia e Romania, tra passato e futuro senza mai riuscire a vivere il presente. Una telefonata dei figli, ormai ventenni, e finalmente decide di tornare a casa, nella sua casa nuova, costruita con i frutti del suo lavoro come badante. Purtroppo, però, questo momento tanto atteso non porta la gioia sperata.
Iasi, Romania, 2016. Un anno dopo il suo ritorno, ritroviamo Vasilica diretta verso l’aeroporto, pronta a ripartire: ha deciso di provare a smettere di vivere con l’acqua alla gola. Una nuova vita l’aspetta a Portsmouth con il suo compagno.
Il fumetto è rilasciato con licenza creative commons; nella postfazione si possono trovare tutti i dettagli sulla genesi dell’opera in primis come progetto sociale per avvicinare donne romene e italiane, chi cura e chi affida i propri cari alle loro cure. Per approfondire il discorso sulla Sindrome Italia e sui cosiddetti “orfani bianchi”, ecco il link a un reportage dalla città di Iasi.

“La bàla d’oro-una fantastica storia di baskin”, Sira Miola, Nicola Piotto, Ente Italiano Sport Inclusivi, 2022, 54 pagine a colori, brossura

“La bàla d’oro-una fantastica storia di baskin”, Sira Miola, Nicola Piotto, Ente Italiano Sport Inclusivi, 2022, 54 pagine a colori, brossura

Unire basket, disabiltà e fumetti: ecco l’idea alla base dell’agile fascicolo scritto da Siria Miola e disegnato da Nicola Piotto, titolare di un podio al concorso “Disegna a fumetti la carta etica dello sport veneto” ed. 2021. Nato a Cremona, il baskin è uno sport inclusivo per eccellenza grazie all’idea di portare sul classico parquet della pallacanestro squadre formate da giocatori con diverse abilità fisiche e mentali. Oltre alle “classiche” dinamiche della palla arancione, la disciplina prevede una serie di regole aggiuntive pensate per unire atleti di ogni genere, ordine e grado. Da qui la necessità di un manuale “di pronto uso”, facile e piacevole da leggere oltre che esauriente ed esaustivo. Logico che la scelta del linguaggio ideale per unire questi ambiti fosse quello del fumetto, nella forma di una curiosa “fiaba fantasy” di ambientazione medievale. Come spiega Michele Ginevra nell’introduzione al volumetto,  “Non solo belle idee, ma anche bei disegni. Semplici da leggere ma non per questo banali graficamente. L’espressività e le movenze dei personaggi, i dettagli simpatici, le fisionomie ben costruite. E poi una logica narrativa che porta il lettore a vivere con emozione il racconto di questo sport”. Per richiedere una copia del fascicolo e fare consapevolezza, basta andare sul sito ufficiale della disciplina.